Bono Academy Day 2024, riunione di una famiglia speciale

Ormai ho perso il conto, ma il Bono Academy Day è un’appuntamento a cui non ho mancato fin da quando ero in fase 1. La nostra scuola è “old school” nel senso che si rifà all’Inosanto Academy, allora Kali Academy, degli anni Ottanta dove le discipline non erano suddivise a compartimento stagno, ma veniva insegnato un mix di Jun-Fan Gung-fu, Kali, Silat e Thai-boxing in tre classi, o meglio “phases”, progressive: e solo dopo averle superate si accedeva ad un livello dove si poteva utilizzare la parola Jkd cioé Jeet-kune-do.

Questo evento annuale è più di un seminario, è un momento associativo in cui gli allievi di tutti i livelli si incontrano, condividono le loro esperienze, a volte per la prima volta. Così come per molti è la prima volta che apprendono direttamente dal nostro direttore tecnico, che per me dopo tanti anni è “sifu Roberto”, ma per loro è sigung Roberto Bonomelli, il “nonno”, cioè l’insegnante dei loro rispettivi istruttori nelle classi dei principianti. Il Jkd si rifà alla gerarchia familiare cinese anche se sijo (il fondatore) era anticonvenzionale quando si trattava di combattimento. Nonostante con svariati di loro avesse un rapporto d’amicizia, e in quel caso durante la giornata fosse per loro semplicemente “Bruce”, quando praticavano nella palestra della Chinatown di Los Angeles era ben chiaro a tutti chi fosse il sifu, tradotto come “padre”, quindi non un titolo d’abilità, ma il riconoscimento dell’anzianità di pratica. La tradizione delle arti marziali cinesi vuole che gli allievi (todai) si riconoscano tra loro come fratelli maggiori (sihing) e minori (sidai). Ed è così che il BA Day è una riunione di famiglia, dove i suoi membri si prendono a calci e pugni, anche a bastonate, ed è proprio questo che in qualche modo li unisce.

Poi è nato il Karate Full-contact, la Kickboxing e il Pugilato è diventato sempre più importante: le schivate e le deflessioni con le mani, tipiche degli sport da combattimento, non offrivano più la resistenza delle parate utile ad applicare il trapping. Ecco perché abbiamo sì praticato pak-sao e lop-sao lanciando il braccio per incontrare quello dell’avversario (attaching the structure) ma è stato sottolineato come più funzionale oggi non cercare il “punto di riferimento” andando ad “afferrare la guardia o catturare la struttura” (capturing the structure) sia con l’avversario nella stessa guardia che in guardia opposta (unmatched). Quest’ultima modalità è indispensabile per un praticante di Jkd: allenarsi sempre contro avversari in guardia destra sarebbe fuoritempo… ma per questo non dobbiamo necessariamente cambiare anche noi guardia. Anzi, combattere in guardia opposta rivela altre aperture nella difesa dell’avversario così come permette di sfruttare un posizionamento vantaggioso muovendosi verso la sua schiena.

Infatti, guru Roberto oltre ad aver spiegato il principio delle “famiglie di movimenti”, che nel Kali permettono di usare diverse armi con le stesse traiettorie d’attacco, ha ricordato come il nostro approccio all’uso dell’arma in questione è “scientifico”: il sibat può essere usato con una sola estremità, quella anteriore o quella posteriore, oppure entrambe.
Abbiamo esplorato tutte le possibilità anche quelle apparentemente meno pratiche: parare con la punta davanti e contrattaccare con la stessa oppure con l’altra, parare con la punta posteriore e poi tutte le varianti matematicamente possibili… Solo mettendo tutte le opzioni sul tavolo di laboratorio è possibile filtrare attraverso le “lenti del Jkd” il proprio metodo personale. Quindi il viaggio, il “cammino” o la “via” (dao o do) inevitabilmente va oltre il confini dell’Arcipelago filippino. Del resto sulla parete verso la quale facciamo il saluto da sempre oltre ai loghi del Jkd e del Kali c’è quello che si riferisce più ampiamente alle arti marziali del Sud-est asiatico con il nome di un antico regno: Majapahit. Infatti il maneggio del bastone lungo si ritrova nel Silat, sia indonesiano sia malese, nell’arte guerriera tailandese conosciuta come Krabi-krabong, nel Vo più popolare con il termine Viet-vo-dao, nel Thaing birmano e così via attraverso le forme di combattimento cambogiane, laotiane fino ad arrivare all’India, culla della cultura non solo marziale di tutta l’Asia.

Il nostro maestro ci ha invitato a liberarci dal paraocchi dell’esotismo indicandoci come alle pareti della palestra ci sia anche un bastone siciliano (paranza), un’arte diffusa nel catanese che ebbe occasione di praticare con il suo amico Santo Zappalà, allora istruttore della Polgai di Brescia. Da qui la valutazione delle similitudini tra le tecniche di bastone anche in Occidente: dalle Canarie al Portogallo e anche al nord dell’Africa.
Abbiamo così concluso una giornata di pratica in famiglia con il messaggio che i nostri limiti devono espandersi oltre la nostra cultura, abbracciare quella di tutto il mondo.